Itinerari culturali in Valle d'Aosta

Mercoledì, 25 Settembre, 2013 - 00:00
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Un’estate, tante idee: ecco gli itinerari per scoprire, o riscoprire, i paesaggi, la storia, l’arte e le tradizioni della Valle d’Aosta.

Da quest’anno sul sito www.lovevda.it sono presenti alcune proposte di itinerari culturali utili ad avvicinarsi al territorio della Valle d’Aosta, a leggerlo, interpretarlo, “viaggiarlo”.
A cominciare dal capoluogo, Aosta. Una città certamente piccola, ma densa di una storia millenaria che ha lasciato tracce in ogni angolo: dai monumentali resti dell’epoca romana fino all’appartata e meno evidente sacralità delle sue chiese che solo gradualmente si rivelano agli occhi e allo spirito di chi abbia voglia di entrarvi. Una città inaspettata che consente al visitatore di camminare agevolmente in pochi km2 che però racchiudono secoli interi.
Il fondovalle centrale, il più immediato e facile da conoscere, profilato dall’antica strada romana delle Gallie, dalla storica Via Francigena e dagli echi della calata di Napoleone; scenograficamente punteggiato di torri e castelli che si rincorrono zigzagando da Pont-Saint-Martin fino a Morgex.
Le splendide vallate laterali, dalle poco note tradizioni walser della valle del Lys, fino alla selvaggia valle di Champorcher solcata da torrenti impetuosi, dai più caratteristici scorci della soleggiata Valtournenche, fino agli inattesi gioielli medievali che si celano nei villaggi di La Salle e di Morgex, nell’alta Valdigne.
In auto, a piedi, in moto o in bicicletta, da sempre la Valle d’Aosta si lascia scoprire e attraversare in lungo e in largo; oggi è possibile farlo anche in un click! Sul sito www.lovevda.it è possibile anche scaricare gratuitamente delle audioguide, oppure delle schede informative, per essere accompagnati durante l’esplorazione del territorio.

http://www.lovevda.it/turismo/proposte/itinerari_culturali_i.asp

1 - Aosta: giro delle mura romane e delle torri medievali
Un “viaggio” nel cuore di Aosta lungo il perimetro delle mura romane alla scoperta delle sue torri e di pagine appassionanti di storia.

Località interessate: Aosta
Come: a piedi
Durata consigliata: mezza giornata
Periodo consigliato: tutto l'anno

Descrizione
In epoca romana la cinta muraria di Augusta Praetoria formava un rettangolo di 724 m x 572, raggiungeva un’altezza pari a circa 7 m ed era costituita da un riempimento interno di ciottoli e malta, e da un rivestimento esterno di blocchi di travertino.
Le torri erano due per ogni porta, quattro angolari, più altre otto: venti in tutto. Per il loro numero, per il pronunciato aggetto verso l‘esterno e per il risalto dato loro da un doppio ordine di finestrelle ad arco poste su tutti e quattro i lati, è probabile che la loro funzione fosse anche decorativa oltre che difensiva: la cinta muraria, infatti, doveva creare una significativa delimitazione monumentale dell‘area urbana.
Nei secoli successivi alla caduta dell‘impero romano, Aosta conobbe una fase di abbandono e di forte declino; nel corso del Medioevo gli abitanti iniziarono a tornare, le abitazioni si strinsero lungo le vie principali e i nobili costruirono le loro caseforti e i loro castelli contro le antiche mura. Molti bastioni furono adattati a dimora feudale e alcune torri sopraelevate e trasformate utilizzando il paramento esterno delle mura che venne in gran parte asportato.
Ancora oggi è possibile visitare a piedi gran parte del perimetro delle mura romane apprezzando diverse torri o resti di esse.

Si parte dalla Porta Praetoria, la più imponente delle quattro porte dell'originaria città romana, vero e proprio ingresso monumentale, ideologico e simbolico della colonia di Augusta Praetoria Salassorum.
La Porta è costituita da due cortine parallele, in ognuna delle quali si aprono tre arcate; lo spazio racchiuso all’interno rappresentava in origine un ampio cortile d'armi (il cavedio). Il passaggio sotto la grande apertura centrale era carrabile mentre i fornici laterali più piccoli erano riservati al transito pedonale. La difesa dall'esterno era garantita da tre saracinesche che, in caso di pericolo, venivano calate dall'alto e chiudevano le aperture esterne. Il paramento murario esterno oggi visibile sul lato ovest è costituito da grossi blocchi di puddinga (un conglomerato naturale di origine sedimentaria fluviale), ma è presumibile che in origine presentasse un rivestimento in travertino. Sull'attuale fronte esterno orientale della Porta, monumentalizzato nella prima metà del I sec. d.C, in un momento successivo alla costruzione, sono ancora visibili i resti del rivestimento in bardiglio di Aymavilles (marmo grigio-azzurro locale) e in marmo bianco di probabile provenienza dalle cave di Carrara.
Le imponenti dimensioni dell'edificio antico, ancora oggi ben conservato, sono in parte percepibili tenendo conto che il piano di calpestio della città romana si trovava a una quota inferiore di circa 2 metri rispetto al moderno piano di frequentazione.
La percezione architettonica attuale e i relativi rapporti dimensionali sono, pertanto, falsati da una visione parziale che non rende ragione dell'imponenza monumentale originaria della struttura antica; (*)tuttavia la campagna archeologica avviata nella primavera del 2012 restituirà alla Porta il suo originario contesto urbanistico con la contestuale valorizzazione dell’intera area.
I lavori eseguiti negli anni '30 del secolo scorso comportarono la demolizione delle costruzioni medievali ad esclusione della torre settentrionale, nota come Torre dei Signori, ora sede dell'ufficio del Turismo e il restauro di quella meridionale oggi occupata da un ristorante.

Lasciata quindi la Porta Praetoria, si prosegue in via S. Anselmo e, dopo pochi metri, si svolta a sinistra in via Hotel des Monnaies (via Antica Zecca), lungo la quale si incrocia la Tour Fromage. Innalzata, con tutta probabilità, tra l’XI e il XII secolo, venne ampliata e ristrutturata nel 1381. Inserita nell‘area archeologica del Teatro Romano e affiancata da edifici di origine medievale, deve il suo nome ai nobili De Casei (francesizzato poi in Fromage) che la occuparono nel Medioevo. Citata per la prima volta in un documento del 1191, la torre passò in eredità ai nobili Vaudan nel Quattrocento, a seguito del matrimonio di Claude Vaudan con Jeannette du Fromage, ultima discendente del suo casato. E’ noto peraltro che nel 1549 vi venne allestito un importante ricevimento in onore di Ferrante Gonzaga, all’epoca Vice-Re d’Italia e governatore di Milano, giunto in valle d’Aosta con 200 cavalieri per svolgere una missione affidatagli dall’imperatore Carlo V. A pianta quadrata e non molto elevata, appoggiata su un lato alle mura cittadine e sull‘altro al muro di sostegno del terrapieno interno alla cinta romana, conserva la primitiva fisionomia.

Poco lontano, in via Guido Rey, sorge invece la Torre dei Balivi o “Tour du Baillage“, situata all‘angolo nord-orientale della cinta muraria romana. Fu anch'essa costruita nel Medioevo sulle strutture della preesistente torre romana di nord-est e occupata dalla nobile famiglia dei De Palatio, che derivò il suo nome dal cosiddetto “Palatium rotundum”, cioè l’anfiteatro romano, i cui resti rientravano nelle sue proprietà. Nel 1263 Guglielmo De Palatio vendette la torre al Conte Pietro II di Savoia che, a decorrere dal 1430, la destinò a residenza dei Balivi, gli amministratori della città, nonché a carcere. In seguito, a partire dal 1626, i Balivi preferirono trasferirsi in un edificio più idoneo (Palazzo Roncas) e il complesso, rimaneggiato, mantenne unicamente la funzione di prigione, che conservò fino al 1984.
Da alcuni anni il complesso della Torre dei Balivi è al centro di un importante progetto di ricerca, di recupero e di rifunzionalizzazione che lo trasformerà nel nuovo Istituto musicale regionale; si sono perciò svolte numerose campagne di scavo archeologico preliminari alla realizzazione di un auditorium interrato e dei vari locali di servizio utili alla sua nuova destinazione d’uso e, parallelamente, sono state eseguite accurate operazioni di restauro sia all’esterno che all’interno dell’edificio. I lavori termineranno definitivamente nel 2013.

Percorrendo tutta via Guido Rey verso ovest, si arriverà in corrispondenza dell’incrocio con via Xavier de Maistre dove è possibile vedere quanto resta di una delle torri settentrionali della cinta (nota con la denominazione medievale di Tour Perthuis) ancora inserita all’interno della facciata ovest dell’edificio oggi ospitante la scuola dell’infanzia “Mons. Jourdain” e recentemente restaurata.

Proseguendo quindi in via Chanoux e continuando in via San Giocondo, tutti deliziosi vicoli del centro storico che, sin dal Medioevo, indicano l’estensione del quartiere ecclesiastico urbano, si perde progressivamente la vista della cinta muraria fino ad arrivare in piazza Roncas dove, nell’edificio un tempo occupato dal Convento delle Visitandine e poi dalla Caserma Challant, sorge il MAR (Museo Archeologico Regionale); nel sottosuolo di questo edificio sono visibili i poderosi resti della Porta Principalis Sinistra, ossia la porta nord della città romana.

Dando le spalle al Museo ci si dirige in via Tourneuve in direzione del settore occidentale della cinta muraria dove sarà nuovamente possibile apprezzare la vista delle mura e, in corrispondenza dell’angolo terminale, la Tourneuve, che sorge all’incrocio tra la via omonima e via Monte Solarolo. Edificata attorno alla seconda metà del XIII secolo sui resti della precedente torre romana, di cui è ancora visibile il basamento quadrangolare, l‘antica torre cilindrica, munita di merlatura e di porta ad altezza di sicurezza, emerge nella parte nord-occidentale delle mura romane che, in questo tratto, si presentano ben conservate e costeggiate da una tranquilla area verde con panchine dove è possibile fermarsi per una sosta. Citata in documenti come possedimento degli Challant che, investiti della carica di visconti di Aosta, controllavano tutta la cinta sud-occidentale delle mura, fu poi ceduta ai Signori De Turre Nova, da cui prese il nome.

Giunti in piazza della Repubblica si imbocca, sulla sinistra, la pedonale via Edouard Aubert, per poi svoltare quasi subito a destra e giungere in via Torre del Lebbroso, dopo aver costeggiato l'edificio della Biblioteca Regionale, che si imposta al di sopra dei resti della Porta Decumana, peraltro visibili al piano interrato della stessa Biblioteca. Antico bastione romano, la Torre venne trasformata in residenza feudale dai nobili Friour, dei quali si ha notizia dal 1191. Nel corso del ‘400 fu costruita la torre scalare sul lato nord per permettere un più comodo accesso ai piani e aperte le finestre in pietra sul lato sud. Dopo alcuni cambi di proprietà fu acquistata nel 1773 dall’Ordine Mauriziano che vi ospitò il lebbroso Pietro Bernardo Guasco, originario della città di Oneglia, la cui permanenza nella Torre fu resa famosa dalle pagine del romanzo “Le lépreux de la cité d’Aoste“, scritto nel 1811 dal nobile savoiardo Xavier de Maistre.

Infine, attraversando via Stévenin, si incrocia la Torre di Bramafam, che sorge all‘angolo tra via Bramafam e viale G. Carducci, lungo il lato meridionale della mura romane. Il monumento mostra un bastione a pianta circolare, alla cui base sono ancora visibili i resti della torre occidentale e parte di quella orientale che, in origine, fiancheggiavano la Porta Principalis Dextera, su cui fu innalzato il castello intorno al XII-XIII secolo. Denominato Castello di Bramafam, ma comunemente designato come Torre, il maniero fu anch'esso proprietà dei nobili di Challant, già visconti di Aosta, che, nel corso del XIII secolo, divennero la più importante famiglia aristocratica della Valle d‘Aosta.
La casaforte passò in seguito nelle mani del Conte di Savoia, allorché gli Challant rinunciarono alla carica viscontile. Nel corso dei secoli successivi subì ulteriori vari passaggi di proprietà, perdendo la sua importanza rappresentativa ed amministrativa, fino a subire l‘abbandono definitivo nel XVI secolo. Durante il XIX secolo divenne addirittura un deposito di carbone, fino a che, quasi alle soglie del Novecento, venne intrapresa una campagna di scavi archeologici seguita da opportuni restauri; tali operazioni permisero il ritrovamento delle strutture romane e di un’epigrafe ora conservata al Museo archeologico e recante la seguente frase: “Salassi incolae qui initio se in coloniam contulerunt […]”: testimonianza della popolazione autoctona che risiedette in città sin dalla sua fondazione riconoscendo l’imperatore Augusto come suo protettore e signore (patronus).
Per spiegare l‘origine del nome di questa torre, a tutt‘oggi sconosciuta, una leggenda narra che un membro della famiglia Challant, per gelosia, vi avrebbe rinchiuso la moglie, che ivi sarebbe morta, gemendo e lamentandosi per le sofferenze patite a causa della fame (brama fam). Altri, invece, attribuiscono questa denominazione al fatto che, per un certo periodo, il complesso ospitò il granaio pubblico, cosa che indusse la popolazione di Aosta, in seguito ad una grave carestia, a radunarsi ai piedi del maniero implorando cibo. Un’altra versione è quella che vorrebbe questa torre indicata come Porta Biatrix dal nome di Beatrice di Ginevra, moglie di Godefroi de Challant; tuttavia nessun indizio storicamente affidabile può avvallare tale tesi.
Da notare le belle bifore romaniche e la passerella che oggi sostituisce un antico ponte levatoio. La sua posizione defilata rispetto al centro fa sì che questo complesso nobiliare passi quasi inosservato quando, invece, costituisce l’unico esempio aostano di vero e proprio castello urbano.

Lasciata quindi l’area ludica di via Festaz nota come “Giardino dei ragazzi” attraverso cui è possibile avvicinarsi al lato nord del Castello di Bramafam, si imbocca la vicina via A. Cretier procedendo in direzione est verso la stazione FS dove, una volta arrivati, si potrà apprezzare la mole della Tour du Pailleron: si tratta dell’unica torre cittadina, assieme a quella del Lebbroso, ad aver mantenuto, quasi inalterato, il suo aspetto romano, nonostante gli importanti restauri di fine Ottocento, resi riconoscibili dall’ampio impiego di mattoni.
Situata lungo il lato meridionale delle mura romane, è la torre meglio conservata di questa porzione di cinta ed è chiamata “del Pailleron” poiché fu a lungo utilizzata come pagliaio da parte dei monaci di Saint-Bénin.
La torre, a pianta quadrata e aperta su ciascun lato da sei finestre, tre per ogni piano, è collegata ad un tratto di mura che nel Medioevo fu demolito per ricavarvi la cosiddetta “Porta ferrière“, il cui nome si deve alla presenza di un cancello in ferro.

Procedendo lungo via Cerlogne e continuando a seguire la cinta muraria dall'interno, all’incrocio tra via Festaz e via Torino, si vedono i resti della Torre Plouve. Era una delle torri frontali del prospetto est della cinta muraria di Augusta Praetoria e, durante il Medioevo venne occupata dalla nobile famiglia dei De Plovia che prese il nome dalla località (“Plovia”, uno dei più antichi toponimi cittadini). Purtroppo l’edificio venne quasi interamente demolito a metà del XX secolo per il tracciato di via Festaz; tuttavia i resti sono ancora ben riconoscibili e sono stati oggetto di un recentissimo restauro conservativo completato nel 2010.
Da qui è possibile tornare alla Porta Praetoria fiancheggiando un buon tratto della cortina muraria romana orientale che delimita il parcheggio di piazza Plouves e che risulta ben leggibile nonostante le abitazioni moderne che le si sono sovrapposte nel tempo.

2. L’alta valle del Lys: da Issime a Gressoney-La-Trinité. Nella terra del popolo Walser.
Un itinerario per scoprire la terra delle genti Walser, originarie del Vallese svizzero, che colonizzarono questo territorio nel corso del Duecento.

Località interessate: Issime, Gaby, Gressoney-Saint-Jean, Gressoney-La-Trinité
Come: in auto
Durata consigliata: una giornata
Periodo consigliato: tutto l'anno

Secondo la teoria storica comunemente accolta, i walser giunsero da Zermatt sin dall’inizio del XIII secolo, insediandosi in quasi tutta la Valle del Lys (Gressoney, Issime, Gaby e Niel) e nell’alta Val d’Ayas (Canton des Allemands), attraverso il Passo del Teodulo (3.317 m) ad Ovest, e dal Monte Moro (2.984 m) ad Est.
Tali migrazioni avvennero per cause che vanno ricercate in ambito economico e demografico, quali le ristrettezze economiche e l’eccessiva popolazione dei territori d’origine, ma soprattutto nella volontà dei signori feudali del Vallese che vedevano in esse la possibilità di far fruttare e di valorizzare le proprietà al di là delle Alpi.

Importante elemento distintivo della cultura walser è la lingua: il töitschu, dialetto parlato nella zona di Issime, e il titsch, proprio dell’area di Gressoney, assai simile all’idioma germanico sia per i vocaboli, sia per la strutturazione del discorso. A favore della sua diffusione e stabilizzazione hanno certamente influito i continui rapporti commerciali e culturali con i paesi d’origine.

Nel 1970 è stato introdotto lo stemma della comunità Walser: in esso si è cercato di racchiudere simbolicamente tutta la storia del popolo walser. Al centro appare un cuore con dieci stelle, ognuna delle quali rappresenta un paese di questa minoranza etnico-linguistica presente in Italia. Il cuore, che esprime il forte legame con la terra di origine, è sovrastato da una "croce ad angolo", che era un carattere dell'alfabeto nordico usato in se¬guito dai Romani per simboleggiare il dio Mercurio, protettore dei mercanti. Il bianco e il rosso sono i colori della bandiera del Canton Vallese, mentre i due cerchi concentrici rosso e nero, che racchiudono lo stemma, riprendono i colori della ban¬diera della Regione Autonoma Valle d'Aosta.

ITINERARIO
Lasciata Fontainemore, il primo paese che si incontra nel risalire la vallata è Issime (Eischeme), dove vale la pena sostare per visitare la chiesa parrocchiale di San Giacomo, edificio di notevole interesse storico e artistico. Fonti d’archivio attestano la sua esistenza sicuramente già nel XII secolo, ma venne completamente ricostruita alla fine del Seicento. Splendido l’affresco che ne riveste l’intera facciata con la rappresentazione del Giudizio Universale: è questo un dipinto del XVI secolo attribuito ai fratelli De Henricis, importanti pittori Valsesiani, e successivamente in parte modificato dall'intervento di un certo Antonio Jacquemin di Riva Valdobbia, chiamato dal parroco a restaurare l'opera alla fine del XVIII secolo.
Di prestigio la croce mauriziana e il portale ligneo scolpito; all’interno degno di nota l'Altare Maggiore, opera dei fratelli Gilardo di Campertogno, realizzato in stile barocco all'inizio del XVIII secolo e ornato da 182 statue. Nel medioevo il comune di Issime fu feudo dei Vallaise, dai quali ottenne dei privilegi in campo amministrativo e nell'esercizio della giustizia, ed ebbe per lungo tempo giurisdizione su entrambi i comuni di Gressoney e Gaby. Fino al XVIII secolo fu retto da 3 sindaci scelti tra i capi famiglia più illustri, uno per la piana inferiore (l'attuale capoluogo e il fondo valle), una altro per la montagna dei valloni di San Grato e di Bùrinni e, infine, un terzo per la piana superiore ora territorio di Gaby. L'ultimo avvenimento di una certa rilevanza per la vita del paese è la divisione da Gaby nel 1952.
A Issime è possibile visitare il caseificio “Walser Delikatesse” – tel. 0125.344162

Si raggiunge quindi il paese di Gaby, particolare isola franco-provenzale tra gli insediamenti Walser di Issime e Gressoney, incastonato in una conca prativa circondata da severi pendii montuosi. Tipica in questa località è la presenza dei “Rascard”, costruzioni in legno di origine franco-provenzale che qui si ritrovano frequentemente, insieme ad altre tipologie realizzate completamente in pietra, come le apprezzabili caseforti.

Da notare, in paese, il bel presbiterio affrescato della chiesa parrocchiale dedicata a San Michele, ricostruita all‘inizio dell‘ 800 nel luogo dove sorgeva l‘antica cappella di Saint-Michel de Chamboursière (oggi Kiamourseyra).

A metà strada tra Issime e Gaby si trova il Santuario di Voury, dedicato alla Madonna delle Grazie, particolarmente suggestivo per la disposizione della Via Crucis a monte del Santuario ad imitazione del Calvario di Varallo Sesia.

Da Gaby il viaggio prosegue alla volta di Gressoney-Saint-Jean (Greschòney Zer Chilchu), il più esteso e più popolato centro della vallata, la cui storia si lega strettamente a quella delle comunità Walser di cui sono ancora vive la cultura, le tradizioni, l'architettura originale e la lingua. La chiesa parrocchiale, dedicata a San Giovanni Battista, si trova nel capoluogo denominato de Platz, fu edificata nel 1515 e poi ingrandita nel 1753, anno in cui venne collocata l’imponente croce lapidea che domina lo spazio antistante l’edifico, un tempo adibito a cimitero. Il porticato secentesco comprende una serie di cappelle (d'Gheimnisse) i cui dipinti sono dedicati ai Misteri della Via Crucis. Il campanile risale all'epoca di costruzione della Chiesa, ma successivamente fu innalzato e la cuspide in pietra sostituita con l'attuale, più aguzza, in rame. Nel comune di Gressoney-Saint-Jean vi sono numerose cappelle risalenti al XVII-XVIII secolo, costruite grazie a lasciti e donazioni degli abitanti del luogo. In località Trino si trova la cappella che apparteneva a una Rettoria costituita nel 1748 dove fu fondata una delle più antiche scuole della Valle d'Aosta. Si segnalano, inoltre, le cappelle dei villaggi di Ecko, risalente al 1657, e di Chaschtal, costruita nel 1717, sui ruderi di una casa forte appartenuta ai conti di Challant.
Da non perdere lo splendido Castel Savoia, il cui profilo fiabesco si lascia intravedere nel mezzo di un bosco di pini appena a sud dell’abitato, in località Belvedere. Il castello fu costruito tra il 1899 e il 1904 su espresso desiderio della Regina Margherita di Savoia che vi soggiornò, durante i mesi estivi, fino al 1925; l'edificio evoca un maniero medievale costituito da un nucleo centrale cui si affiancano 5 torrette cuspidate, l'una differente dall'altra, e si articola su 3 piani: il piano terreno con i locali da giorno, il piano nobile con gli appartamenti reali e il secondo piano riservato ai gentiluomini di corte. Le raffinate decorazioni interne, con richiami allo stile Liberty, sono un omaggio alla Sovrana, evocata un po' ovunque dal fiore e dalle iniziali, mentre i soffitti a cassettoni, le boiseries e gli arredi sono di ispirazione medievale. Poco distante si trova la dipendenza nota come Romitaggio Carducci, dedicata alla memoria del poeta che fu ospite e devoto cantore della Regina. Ai piedi del castello, infine, si trova un giardino roccioso ricco di specie botaniche tipiche della flora alpina locale (aperto da maggio a ottobre). Castel Savoia è aperto e visitabile tutto l’anno (Tel. 0125. 355398; giorno di chiusura: giovedì, ma solo nella stagione invernale).
Altro edificio notevole è la Villa Margherita, fatta realizzare nel 1883 dal barone Luigi Beck Peccoz per ospitare la Regina Margherita di Savoia dal 1889 al 1904. L'iscrizione in versi visibile nell'atrio, dettata da Giosuè Carducci, ricorda la presenza della Regina nella dimora, che da lei prese il nome di «Villa Margherita»: “Il sole ti accarezzi coi suoi raggi / Le rose adornino le tue pareti / O mia villa diletta / Che avesti l'invidiato onore / Di albergare fra le tue mura / La Regina d'Italia Margherita”.
Villa Margherita fu acquistata dal Comune di Gressoney-Saint-Jean nel 1968 e destinata a sede del Municipio, degli uffici postali e dell'Azienda di Promozione Turistica (Per le visite: tel. 0125.355192 - info@comune.gressoneystjean.ao.it).

La tappa finale del percorso porta quindi a Gressoney-La-Trinité (Greschòney Drifaltigkeit), stazione alpina di fama consolidata, punto di partenza per le ascensioni al gruppo del Monte Rosa e ben attrezzata per gli sport invernali.
Numerose e pittoresche le costruzioni walser della vallata, sparse nella campagna secondo l’usanza germanica e che si distinguono nella struttura dal tipico "rascard", l’abitazione primitiva con strutture in legno più ampiamente diffusa in Valle d’Aosta.
Gli abitanti di questa parte superiore (Oberteil) del territorio parrocchiale di Gressoney fondarono nel 1665 un rettorato con propria dotazione e proprio rettore, iniziando al tempo stesso la costruzione d'una cappella, inaugurata, insieme con il campanile, nel 1671. Pochi anni dopo, nel 1686, mons. Bailly, vescovo di Aosta, l'eresse a chiesa parrocchiale, smembrandone il territorio dalla chiesa madre di Saint-Jean.
Fin dalla sua costruzione, la chiesa ebbe il titolo della SS. Trinità; come parrocchiale ricevette per patrono S. Francesco Saverio, non potendosi attribuire il titolo patronale alle tre Divine Persone. Fu consacrata da mons. Milliet d'Arvillars il 24 giugno 1702. L’accesso si apre sul vecchio cimitero, oggi dichiarato area monumentale e non più destinato alla pratica funeraria. La torre campanaria, a pianta quadrata con monofore, s'innalza per circa trenta metri. La cuspide attuale risale al 1819; presenta una caratteristica forma a cipolla, sormontata da una boccia in rame e da una croce; la sua struttura è in legno, ricoperta da lamiera di ferro zincato. La torre fu ben presto dotata di campane: erano tre nel 1702. Un campanone, di nome Ulrich, venne fuso in Asti nel 1855, dopo vari tentativi compiuti sul posto. Tre altre campane furono aggiunte nel 1933. L'intero concerto campanario, ormai pericolante, venne rinnovato e completato; fu inaugurato e benedetto da S.E. mons. Lari, vescovo di Aosta, il 20 sette¬bre 1992. Con le sue dodici campane, è ora il più completo di Piemonte e Valle d'Aosta. In piazzetta viene conservata la più antica campana di sicura datazione dell'antico concerto, fusa a La Trinité e benedetta dal parroco Squinobal il 9 settembre 1789.
Tra le numerose cappelle presenti sul territorio si segnala quella in località Stafal-Oagre, costruita nel 1776 dal gressonaro G. J. Curtaz, parroco a Issime, a ricordo della madre Caterina Knobal e della visione da lei avuta il l febbraio 1701 alla fontana esistente sul posto. Si racconta che ella vide come dipinta sul ghiaccio della fontana, a colori vivi e bellissimi, un'immagine della Madonna con in braccio il Bambino; la testimonianza è controfirmata dal parroco di Trinité, J.P. Schwarz. La cappella, che ha preso il titolo della Madonna delle Nevi, è diventata per Gressoney un centro di devozione mariana, meta di pellegrinaggi; vi sono testimonianze di grazie insigni qui ricevute. Festa il 5 agosto.
Molto particolare, infine, la caratteristica cappella strutturata “ a transito” e situata in regione Underwoald, nei pressi del capoluogo: viene detta "dei Morti" (tototschappolo) e, infatti, la sua unica funzione è ancor oggi quella di accogliere i cortei funebri prove¬nienti dalle frazioni.

Il costume tipico delle due Gressoney è fra i più belli e più ricchi della Valle e viene ancora indossato in occasione di importanti manifestazioni, tra le quali, molto pittoresche, le tradizionali processioni che hanno luogo il 24 giugno e il 15 agosto.
Gli amanti dei prodotti locali possono gustare l’ottimo "burro di Gressoney" e la "toma", un formaggio molle con cui si usa condire la polenta. E si possono acquistare le pantofole della Cooperativa D'Socka

A Gressoney-La-Trinité l'Ecomuseo propone la visita di 3 strutture che offrono l’opportunità di un viaggio alla scoperta dei Walser:
- La Casa Rurale – Puròhus: Antica casa rurale del 1700 che offre l’autentica atmosfera di una tipica abitazione walser con il suo “wohngade”, stalla-abitazione. Il wohngade era il cuore pulsante dell’attività lavorativa che comprende una parte adibita a ricovero degli animali e una parte riservata all’abitazione umana, separate tra loro da una divisoria in legno.
La coabitazione era finalizzata allo sfruttamento del calore animale. Visitabile anche la bella cantina a volta e il fienile con gli attrezzi da lavoro.
- La Casa Museo – Pòtzsch hus: Nelle sale di questo “stadel”, tipica casa Walser, sono allestite mostre permanenti dedicate al territorio. Nella sala del Monte Rosa si racconta l’evoluzione dei ghiacciai nel tempo, la storia della conquista delle cime e i suoi protagonisti, l’evoluzione della tecnica alpinistica, la storia dei rifugi e l’affascinante impresa della posa del “Cristo delle Vette”, la grande statua di bronzo posta sul ghiacciaio del Rosa a 4.170 m. Una sezione è dedicata alla storia e alla funzione dei due laboratori scientifici “Istituto Angelo Mosso” e “Regina Margherita”. Un’altra sala ospita un’esposizione sulla storia del costume tradizionale. La terza sala accoglie una mostra che presenta il percorso che porta a Binò Alpelté e mostre a tema.
- La “Baita” di Binò Alpelté: Si tratta di un piccolo alpeggio (Alpelté) in località Binò, con l’interessante particolarità di essere costruito al riparo di un unico masso naturale (balma) che funge da tetto. Si raggiunge partendo dalla Piazzetta della Chiesa attraverso un panoramico sentiero a mezza costa; al ritorno si possono visitare la cappella dei Morti “Tòtòtschappélo” e il cimitero storico.
Apertura Museo: inverno ed estate in alta stagione. Per informazioni e prenotazioni: Consorzio turistico di Gressoney: tel. 0125356670; e-mail: info@gressoneymonterosa.it
Uffici comunali - tel. 0125366137 - segreteria@comune.gressoneylatrinite.ao.it

3. La Salle medievale: La Salle, Ecours, Echarlod, Favray, Le Pont
Da un villaggio all’altro per scoprire non solo un magnifico angolo rurale della Valdigne meno conosciuta, ma anche la storia di La Salle e delle sue antiche, nobili famiglie.

- Come: a piedi o in bicicletta; possibile anche a cavallo (associazioni sportive e ippiche locali).
- Tempo di percorrenza: 2 ore circa (a piedi).
- Quando: da maggio ai primi di novembre (neve permettendo).

Partenza dalla fraz. Le Pont, lungo la SS 26, dove si erge la casaforte appartenuta alla famiglia Bovet. Si tratta di una dimora fortificata del Trecento con feritoie e alcune finestre di foggia tardo-gotica; il corpo centrale risulta affiancato da una coppia di corpi aggettanti quale ulteriore sistema difensivo verso l’ingresso. La dimora è stata oggetto di un recente restauro. Arrivo al parcheggio sotto Maison Gerbollier dove si lascia l’auto.

Poco a monte del capoluogo, in località Ecours, sorgono i resti dell’antico “castello” (XIII sec.) dei signori Lescours (o De Curiis), una delle casate più antiche della Valdigne estintasi nel corso del XVI secolo. Visibili alcuni tratti della cinta muraria e la torre con porta d’ingresso posta a circa 8 m d’altezza; i merli di tipo guelfo sorreggono, oggi, il tetto in lose a quattro spioventi. Nei pressi la graziosa cappella della Natività di Maria con la facciata decorata da affreschi quattrocenteschi.

A est del complesso, lungo la sponda del torrente de l’Echarlod, un sentiero sterrato consente di raggiungere la frazione di Echarlod dove sorge la casaforte d’Aragon, casata nobilitata nel Cinquecento ma estintasi a inizio Seicento in seguito alla terribile epidemia di peste. Si presenta come un solido e sobrio edificio nobiliare; ancora riconoscibile la caditoia al di sopra della porta d’accesso.

Tornando quindi verso il capoluogo, nei pressi del cimitero si potrà vedere, sulla sinistra, la sagoma della Tour Favray, nell’omonima località, oggi inglobata in un’azienda agricola; la sua struttura imponente, benché tozza e per nulla raffinata, e la presenza di feritoie, l’hanno fatta identificare come torre e datare tra XIV e XV secolo.

Imboccata dunque la via centrale del borgo di La Salle, si sale a monte dell’abitato per incontrare la bella Maison Gerbollier-Viard, oggi sede del Comune. In origine dimora della nobile famiglia dei Viard, passò poi in eredità ai Gerbollier con cui si trasformò da casaforte in residenza rustica. Notevole la generale omogeneità stilistica del complesso (frutto dei recenti restauri), l’elegante corte interna e lo splendido portale d’ingresso a tutto sesto.
Giungendo nella graziosa piazza centrale si noterà la bianca mole della chiesa parrocchiale di san Cassiano, completamente ricostruita a metà del XIX secolo ad eccezione della prima parte dell’abside, ancora risalente alla prima chiesa di epoca romanica.

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